(a cura di G.Narducci)
Tutti preoccupati di dove passare Halloween, di presentarsi alla festa con il costume più spaventoso. Tutti ansiosi di avere paura. Ma veramente volete la paura? Veramente volete tremare? Davvero bramate i brividi lungo la schiena? Bene, allora vi raccontiamo di un luogo, che vi farà venire la pelle d’oca. Un posto davvero esistente. Una storia vera, perché solo quelle fanno veramente paura. Una storia in cui l’uomo è vittima e carnefice. Una storia in cui, non ci sono streghe e zucche vuote, ma comi indotti con l’insulina e scariche elettriche. Una storia in cui, se eri un povero sfortunato o una persona scomoda, ti rinchiudevano riducendoti ad un corpo usato per testare veleni e pillole, dove ogni contatto con l’esterno era vietato e il mondo, semplicemente si dimenticava della tua esistenza.
Ogni emozione di gioia, di felicità e di pace erano annientate. Tu, che per una serie di sfortunati eventi ti trovavi lì, eri costretto a subire in maniera passiva il buono e cattivo tempo di uomini, che fuori da ogni logica divina e buon senso, ti usavano come cavia, eliminando la tua condizione primaria di persona, di essere. Spogliato di tutto, diventavi un burattino nelle mani di persone senza anima, che all’odore della tua carne che bruciava a causa delle scariche elettriche non provava che piacere .
Fa paura vero?
Odio, rabbia, dolore. Ecco cosa traspare dal quello che rimane oggi dell’Ospedale Psichiatrico Ferri di Volterra. Nato a fine degli anni ’80 dell’Ottocento, come sezione per “Dementi” all’interno del ricovero di medicina dell’ex Convento di San Girolamo, già nei primi anni Novecento iniziò a registrare i primi segni di sviluppo, fino a diventare tra gli anni ‘50/’60, uno dei manicomi più grandi di Italia. Oltre centomila metri cubi di volume. Tre grandi sezioni, oggi in totale degrado.
Uno dei centri più grandi di Italia, con la possibilità di poter contenere fino a seimila (6.000 scritto in numeri forse fa più effetto), persone ricoverate contemporaneamente. Ricoverate. Ricoverate forse non è proprio giusto come termine. Detenute. Ecco si, 6.000 persone, spogliate del loro diritto di nascita, detenute, contemporaneamente. Il tutto distribuito in centomila metri cubi di volume, con 20 lavandini e 2 wc ogni 200 degenti. Il 40 % dei morti registrati, avveniva a causa di malattie trasmesse. Chissà perché.
Se non vi è preso un brivido pensando di dover dividere il bagno con altre 199 persone di media, ogni giorno, per anni e anni, allora siete dei duri. Ma non finisce mica qui.
Noi siamo abituati a comunicare continuamente, in ogni momento della giornata, in ogni istante, c’è chi lo fa anche quando dorme e chi, neanche in bagno si separa dal proprio smartphone. Riceviamo notifiche su notifiche, siamo quasi “drogati” di comunicazione. Ecco, proprio qui vi volevo.
Pensatevi chiusi in una stanza, con qualche ora di “aria” al giorno, opzione fattibile solo se site stati bravi e se siete stati considerati innocui. Controllati a vista, con magari il vicino di panchina catatonico, con lo sguardo perso nel vuoto, mai una parola, mai un suono, mai un emozione, ma solo il movimento delle palpebre.
Tutto sempre se non eravate ritenuti pericolosi, perché allora in quel caso vi sareste trovati nella sezione giudiziaria, quindi non so quanta “aria”, vi sarebbe stata concessa. Comunque in ogni caso, da regolamento interno si legge che : “Gli infermieri non devono tenere relazioni con le famiglie dei malati, darne notizia, portarli fuori; nessuna lettera, né oggetti, ambasciate, saluti; né possono recare agli ammalati alcuna notizia dal di fuori, né oggetti, né stampe, né scritti…”. In sostanza, se non eri matto, lo diventavi.
Adesso l’ex manicomio si presenta come un grosso complesso immerso nel verde, dove, tra le grate e dai vetri rotti delle finestre, l’edera si intreccia, come se la natura volesse depurare la terra da tutto quel male e quel dolore. I giovani Writers hanno riempito ogni stanza con murales, di cui alcuni anche interessanti. Qualche simpaticone invece, si è divertito a giocare con dei manichini, messi sdraiati sui lettini o seduti sulle sedie a rotelle, vestiti con giacche e camici bianchi. Chissà, magari pensavano di aumentare il pathos.
In tutto questo, tra le rovine e il degrado, una testimonianza rimane viva, tra le mura del Ferri. Le incisioni di un detenuto, un uomo che lì ci ha passato vent’anni della sua vita. Al secolo Nannetti Oreste Fernando, ma per i 280 metri complessivi di incisioni, semplicemente NOF4. Il 4 forse sta per il numero di matricola o per quello degli istituti in cui è stato rinchiuso. Questo probabilmente non lo sapremo mai, ma quello che sappiamo è che quest’uomo, autodefinitosi come “L’austronautico ingegnere minerario del sistema mentale”, ha lasciato ben 180 metri di incisioni nel muro esterno del Ferri e 102 metri, in un passamano in cemento di una delle scalinate dell’edificio. Un diario, una biografia, un insieme di parole, disegni, poesie incise nell’intonaco, con l’aiuto della fibbia della “divisa dei matti”.
Nato a Roma il 31 dicembre del 1927, ebbe fin da subito una vita difficile, prima in orfanotrofio, poi in manicomio. Ritenuto pericoloso dopo l’arresto con l’accusa di offesa a pubblico ufficiale, arrivò a Volterra nel 1958 e ci rimase fino alla morte, avvenuta nel ’94. Come molti altri, anche lui, rimase nella cittadina toscana anche dopo la legge Basaglia e chiusura del manicomio nel ’78. I suoi graffiti, in parte staccati dal comune di Volterra, per poterne salvaguardare la memoria e il valore artistico, sono stati riconosciuti come opera d’arte, appartenenti all’ Art Brut. Arte libera e spontanea, come la produzione pittorica dei bambini e degli alienati, dove graffiti scarabocchi e segni sui muri rappresentano l’essenza primitiva dell’espressione umana.
Tra i più famosi graffiti di NOF4, ci sono quelli della panchina, in cui il Nannetti lascia volontariamente la sagoma dei degenti catatonici, continuando a scrivere sopra le loro teste. Graffiti di difficile interpretazione i suoi, ma con una forte carica emotiva, in cui vengono raccontate storie di crudeltà gratuite e di crimini subiti. Testimonianza di ingiustizie, in cui solo il caso sembra abbia potuto scegliere la sorte, la posizione, il ruolo che faceva la differenza tra l’essere la vittima o il carnefice.
In un luogo in cui l’elettroshock era all’ordine del giorno, in cui alle finestre vi erano le grate e le persone erano solo dei numeri di matricola, la testimonianza di NOF4 ci dimostra come, quando tutto ti è negato, quando non sei più padrone della tua vita e non puoi comunicare con l’esterno, l’arte e la scrittura diventano lo sfogo e l’unica possibilità di poter mantenere uno stralcio di umanità, che altri uomini come te, ti hanno tolto.